Quando il disordine è accoglienza

Ieri è venuta a trovarmi una mia amica insieme a suo marito, così, senza preavviso ed io li ho fatti accomodare con gioia in cucina, davanti ad una tavola coperta di briciole, con la tovaglia macchiata di succo di frutta, i piatti nel lavello e un paio di noccioli di ciliegia per terra (il che è anche rischioso, se ci metti un piede sopra).

Lì per lì non ci ho fatto caso, e nemmeno loro, perché quando le persone si vogliono bene si guardano in faccia, non fanno lo scanner all’ambiente. Ma abbiamo aperto un dibattito sulla correlazione che c’è tra il caos che si trova in una casa e lo spirito di accoglienza di chi le abita e abbiamo convenuto che la relazione è una proporzionalità diretta.

Infatti io mi sento profondamente a disagio ogni volta che entro in una casa ordinata e perfettamente pulita, una di quelle con le piante (vere) senza polvere sulle foglie, coi cuscini allineati sul divano o il piano della cucina sgombro. Mi sento a disagio perché mi sembra che una persona che riesca a curare con tanta meticolosità i particolari dell’ambiente sia anche molto pignola nel giudicare le persone. Magari non è vero, però istintivamente lo penso. Se poi la padrona di casa insiste per farmi fare un giro dell’appartamento, il dubbio diventa certezza.

Il marito della mia amica ha raccontato che la settimana scorsa aveva bussato a qualche porta del centro per fare evangelizzazione insieme agli amici della sua comunità neocatecumenale, e ad aprirgli è stata proprio una giovane coppia con due bambini piccoli ed una casa talmente sottosopra da non sapere dove poggiare i piedi. Non hanno avuto paura di mostrarsi trasandati, anche perché quel caos non era una scelta, bensì la conseguenza del fatto che lavorano entrambi e i bambini, si sa, sono una causa continua di entropia. Non hanno avuto timore di essere giudicati perché probabilmente non giudicano dalle apparenze: e infatti l’impressione che hanno lasciato nei loro visitatori è stata solo positiva.

Io cerco di fare la massaia come posso, ma riesco ad impegnarmi solo se mi immagino mia madre che mi viene a trovare: lei entra e passa il dito sui mobili per vedere se ho spolverato, scosta le tende per guardare i vetri, sistema con disappunto i cuscini del divano. Lei mi giudica, o meglio, giudica il suo lavoro di insegnante in lavori domestici. Il suo sguardo, presente o solo immaginato, è la misura del mio grado di decenza in casa.

Se aspetto qualche ospite non proprio friendly, mi metto subito in agitazione ed entro in modalità scanner-sguardo mamma presente. Allora passo al setaccio la casa e noto le cose che di solito tralascio senza pensarci, come le ragnatele negli angoli, la polvere sotto i letti, le ditate sulle vetrinette. Ma più approfondisco l’opera di riassettamento casa e più mi innervosisco: tolgo spazio vitale ai figli, redarguendoli per ogni gioco che abbandonano sul pavimento, o mi arrabbio col marito per le briciole che lascia in cucina. Tanto che ad un certo punto sbuffano in coro:” ma chi accidenti deve venire oggi?”.

Il fatto è che io sono succube dell’idea un po’ arcaica che la casa sia lo specchio dell’animo della donna che la abita. Forse questo era vero quando si poteva individuare un angelo del focolare, ma adesso, che tutti si lavora e si è sempre fuori casa, l’unico che si può definire “del focolare” è il gatto. E così è diventato vero il contrario: visto il poco tempo a disposizione, si dimostra di animo più nobile quella donna che decide consapevolmente di trascurare l’ambiente per curare l’accoglienza, magari lasciando un caos indescrivibile ma cucinando una bella teglia di pasticcini per l’ospite. E’ più importante mettere a proprio agio chi arriva piuttosto che fare bella figura.

Se entro in casa di qualcuno, io di solito non guardo da nessuna parte: non giro la testa di 360 gradi scannerizzando l’ambiente, non chiedo visite guidate, non faccio nessun commento sui mobili. Le uniche cose che mi saltano all’occhio sono i disegni dei bambini che spesso si trovano appesi qua e là, a volte in posti improbabili e divertenti. Quelli mi attirano come opere d’arte. Allora chiedo permesso, mi avvicino e li scruto con attenzione: di solito si vedono omini stilizzati, grandi soli splendenti e almeno una scritta “ti voglio bene mamma”. E penso a quelli che io sistematicamente stacco dalle ante dei mobili prima che arrivi gente, perché fanno troppo effetto asilo. Penso che sono una sciocca e che tante volte non riesco a vedere in casa mia le cose belle che scorgo nelle case degli altri.

Quindi farò un buon proposito per il futuro: cercherò di avere meno paura della disapprovazione (ipotetica) degli altri ed avrò invece fiducia nella loro capacità di accettare me, il disordine di casa mia e l’allegria caotica della mia famiglia, con meno paranoie e più spirito di accoglienza. Però, se venite a trovarmi, per favore, non alzate il tappeto, per nessun motivo. Grazie.

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

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