Il primo comunista

«Cristo era il primo comunista !»

Quante volte abbiamo sentito questa frase? Molto spesso, in discussioni che hanno visto il focus deviare dall’essenza divina del Figlio di Dio alla filantropia del pensiero di Gesù, ci si è ritrovati di fronte all’applicazione di una casereccia proprietà transitiva secondo la quale, siccome il comunismo difende(rebbe) le masse e contrasterebbe il capitale, come Cristo dice di aiutare i bisognosi e scaccia i mercanti dal tempio, allora Lui si può etichettare come il primo comunista della storia.

Se da noi questa affermazione è fatta con una certa superficialità, associando poche somiglianze tra Vangelo e principi di uguaglianza e libertà, che hanno in una certa misura ispirato il marxismo, in Sudamerica questa cosa assume tutto un altro significato. Questo tipo di similitudine è stato da tempo codificato in quella che viene chiamata la “teologia della liberazione”: una corrente di pensiero che si è sviluppata in contesti sociali dove l’oppressione è il modus operandi di governo tipico e diffuso.

In questi contesti, la liberazione non è intesa primariamente come quella dal peccato, ma come la liberazione dall’oppressore, nello specifico dalla colonizzazione europea. La vittoria non è quella sulla morte, ma è più un riscatto sociale in questa vita. E’ comprensibile che in questi contesti così complicati, non si sia andati tanto per il sottile e vedere un Cristo rivoluzionario alla maniera di Giuda sia stato un passo fin troppo facile da compiere.

E’ appunto in questo contesto che è nato e cresciuto El Indio alias Evo Morales, presidente della Bolivia. Comunista, anzi, socialista convinto, che nella giornata del 9 luglio scorso, durante la visita di Papa Francesco nella sua terra, ha avuto l’ardire (per usare un eufemismo) di regalargli una medaglia ed un “crocefisso” con un Gesù inchiodato ad una falce e martello.

Prima di affrontare qualunque analisi bisogna osservare il video dello scambio di omaggi.

Se gli ovvi regali religiosi del Papa sono stati accolti con un minimo di rispettosa sufficienza da colui che ha dichiarato guerra ad una Chiesa Cattolica, simbolo del colonialismo europeo, la reazione di Francesco è stata decisamente più interessante, al limite del comico, di fronte alla bizzarria dei doni di Morales.

Se per un attimo dimenticassimo che quello è il video di uno storico incontro internazionale, potremmo credere che è la prima candid camera fatta ad un pontefice: Francesco si fa mettere al collo quella collana con lo sguardo di chi si mette in posa davanti ad un lanciatore di coltelli e successivamente osserva uscire dalla custodia il crocefisso marxista leninista con crescente preoccupazione.

Il Papa in quel momento deve essere corso con la memoria ad un suo discorso, fatto in aereo qualche mese fa. Un discorso dove accennava al fatto che se qualcuno ti offende la mamma, deve essere preparato a qualunque tipo di reazione, deve anche aspettarsi un pugno. Anche se è tuo amico. E deve essersi detto tra sé e sé che mai e poi mai, avrebbe creduto di trovarsi di fronte a chi, associando la passione e morte di Cristo a certa simbologia blasfema, in un colpo solo sembra offenderti Madre, Padre e Fratello (e Spirito Santo).

L’incidente diplomatico è superato da un sorriso accogliente del Santo Padre, che stupisce un po’ tutti. Il Papa si distende e accoglie un regalo a prima vista inaccettabile e blasfemo. Cosa è successo? Cosa si sono detti?

Sembra che la traduzione dal labiale «No está bien eso», inizialmente riportata dalla stampa, sia invece un più conciliante e umile «no lo savia, eso», a seguito della spiegazione di Morales che attribuisce il disegno di quel Cristo ad un gesuita, come Francesco.

Padre Luis Espinal è un martire ed il “caso” (ah! ah!) ha voluto che poche ore prima lo stesso Bergoglio fosse sulla sua tomba a pregare per le vittime di tutte le oppressioni e di tutti i regimi.

Se il mondo intero si è inizialmente (anche io lo ammetto) indignato per quello che sembrava un affronto al Papa ed al cattolicesimo, devo fare ammenda e ringraziare Morales per almeno un paio di motivi. Il primo è che ha dato la possibilità al primo dei cattolici, di farci vedere in pratica cosa volesse dire con uno dei suoi discorsi più discussi e interpretati (male). Quando Papa Francesco spiegò quello che era successo in Francia, nella redazione di Charlie Hebdo, non giustificò gli aggressori, non tenne un corso di difesa personale, semplicemente mise in guardia i provocatori. Li avvertì che non sarebbe stato improbabile ritrovarsi con il naso rotto.

Oggi ci ha dato un compendio, una appendice. Ci ha fatto vedere che se gli offesi siamo noi cattolici, le nostre reazioni devono essere interrogative e non attive. Non siamo inermi e accondiscendenti, ebeti mediatori di pensieri inconciliabili tra loro. No. Ma di certo non ci lasciamo prendere dall’emotività, non reagiamo dietro la pulsione di una emozione, per quanto forte essa possa essere.

E’ stato possibile apprezzare, prima al Papa fosse chiaro di cosa si trattasse, il suo sguardo severo e interrogativo nei confronti di un oggetto, di un’opera, di una azione; seguito immediatamente dal sorriso dell’accoglienza verso la persona. Ecco in pochi istanti il riassunto, l’essenza, la rappresentazione pratica del comportamento evangelico corretto che ogni cattolico dovrebbe avere. Odia il peccato, ama l’uomo.

Inoltre mi sento ringraziare Morales per un’altra cosa. Io non sono a conoscenza di cosa lui pensi di quel Cristo martelfalcifisso, so solo che la mia reazione è stata inizialmente scomposta e inadeguata. Per tutto il giorno mi sono adagiato sul fatto che anche il Papa la pensasse come me, alimentando il fuoco del mio sacro sdegno. Sostenuto dalle voci che davano per scontato il rifiuto di un omaggio preso, ma non accolto; ricevuto, ma non accettato.

Grande è stato lo stupore e grande è stata la vergogna quando mi sono reso conto di aver pensato, orgogliosamente, che il Santo Padre fosse d’accordo con la mia meschinità. Invece di abbassarlo ai miei istinti, ancora una volta, grazie a Dio, mi ritrovo elevato alla sua grandezza.

Pubblicato su La Croce dell’11 luglio 2015

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