La sussidiarietà: questa sconosciuta

Ogni mattina le mie figliole partono per la scuola, infilandosi sulle spalle uno zaino stracarico di libri e quaderni, che raggiunge il ragguardevole perso di 15 kg (pesato sulla bilancia, non è un’invenzione). Si portano appresso, anche per frequentare la scuola primaria, montagne di carta, utile giusto a piegare la loro schiena, non certo ad allenare il loro cervello: la qualità di questi testi mi lascia sempre più interdetta, sia nella forma (tutte immagini accattivanti e disegnini, come se dovessero competere con fumetti e videogiochi) che nel contenuto (invece di attingere ai ricchissimi classici della letteratura italiana, si preferiscono nuovi autori allineati al pensiero unico corrente).

Quando andavo alle scuole elementari io, nella cartella infilavo un quaderno a quadretti, uno a righe, il libro di lettura e il sussidiario. Poche cose, leggere e semplici, e una sola maestra. Altri tempi.

Quella parola lì, sussidiario, è sparita dal panorama scolastico, non si usa più. Peccato, perché mi piaceva molto: racchiudeva in sé il significato vero che dovrebbe avere ogni libro a supporto dell’insegnamento, cioè aiutare, supportare, senza prevaricare né indottrinare. Libro di testo è molto più invasivo come termine: dire che una cosa “fa testo” significa indicare che è vincolante per tutti quelli che vengono dopo, che da essa non si può prescindere. Invece sussidiario viene dal termine “sussidiarietà”, cioè quel principio regolatore per cui, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione.

Applicato all’educazione, soprattutto infantile, è un principio bellissimo, carico di poesia e speranza: il maestro di fronte ai suoi allievi, così diversi tra loro e speciali nelle peculiarità che li caratterizzano, apre un libro ed estrae la pagina giusta da usare come leva per far sbocciare le loro menti alla conoscenza.

Adesso si preferisce l’indottrinamento, sia nel metodo, sia nel contenuto: mai come oggi ci sono tanti dislessici sui banchi, come a dire che la struttura mentale standard prevista dai rigidi schemi educativi non si adatta poi così bene ai nostri ragazzi, che sempre in maggior numero restano tagliati fuori dal percorso scolastico teoricamente ideale, venendo lasciati ai margini a contemplare in solitudine la propria inadeguatezza.

Per quanto riguarda i contenuti, basta leggere una delle nuove favole gender, per rabbrividire: l’ideologia bieca e cieca sovrasta con prepotenza, riscrivendo la storia e pure la biologia. La correzione dei libri nei capitoli che trattano della riproduzione farebbe sorridere se non ci fosse da piangere al pensiero che il potere statale ha raggiunto un tale grado di prepotenza da non preoccuparsi più minimamente nemmeno della plausibilità storica e scientifica di quel che vuole inculcare per forza, contraddicendo pacchianamente la conoscenza accumulata nei secoli dall’umanità.

La famiglia e la scuola sono le prime entità intermedie che si frappongono fra gli individui e lo stato: ciascuno di noi viene accolto, sostenuto e protetto in primis dai propri genitori e da tutto il clan familiare e poi, crescendo progressivamente e guadagnando autonomia, viene aiutato dalla scuola ad attingere al patrimonio culturale che l’umanità ha lasciato in eredità alle generazioni future. Sia la famiglia che la scuola hanno il compito di accompagnare ciascun individuo davanti al grande scrigno della vita, insegnandogli a distinguere i gioielli più preziosi da quelli ingannevolmente luccicanti e lasciandolo poi libero di scegliere.

E lo Stato cosa c’entra in tutto questo?

Il principio di sussidiarietà afferma che lo Stato e tutti gli enti pubblici da esso dipendenti in modo più o meno diretto dovrebbero offrire sostegno economico, istituzionale e legislativo alle entità sociali minori (cioè famiglia e scuola, ma anche le associazioni di varia natura). Contestualmente lo Stato dovrebbe astenersi dall’intervenire in quei settori dove le libere aggregazioni di persone possono soddisfare le necessità della società con molta più efficienza ed efficacia dello Stato stesso, il quale, con il suo inevitabile centralismo, introdurrebbe come minimo una burocrazia soffocante e ostacolante.

Il principio di sussidiarietà è stato recepito nell’ordinamento italiano con l’art. 118 della Costituzione e implica che le diverse istituzioni, nazionali come sovranazionali, debbano tendere a creare le condizioni che permettono alla persona e alle aggregazioni sociali di agire liberamente, senza sostituirsi ad essi nello svolgimento delle loro attività. Ogni intervento dell’entità di livello superiore deve essere temporaneo e teso a restituire l’autonomia di azione all’entità di livello inferiore. Rimangono funzioni inderogabili solo il coordinamento, il controllo e la garanzia dei livelli minimi di diritti sociali e di equità.

Lo Stato dunque dovrebbe sostenere con politiche economiche queste cellule fondanti della società, perché nella libera iniziativa dei singoli e delle loro aggregazioni primarie, basate principalmente sui legami umani diretti, sta tutta la ricchezza della società stessa. Ciascuno di noi vive la propria quotidianità cercando di risolvere i propri problemi all’interno dello spazio di manovra che ha e avvalendosi dell’aiuto delle persone che vede vicino a sé. Nel rapporto diretto, sul campo, i singoli possono sfruttare quelle virtù su cui lo Stato, dall’alto, non può fare affidamento: la fiducia reciproca, il compromesso inteso come mediazione dinamica delle varie esigenze, il rispetto altrui, la valorizzazione delle capacità di ciascuno, la personalizzazione della risposta allo specifico problema. Dall’alto lo Stato per forza può solo adottare soluzioni schematiche a problemi semplificati, perdendo per la strada la peculiarità di ogni situazione e fornendo soluzioni altrettanto semplificate, per di più appesantite dall’onere del controllo e dell’inevitabile sistema sanzionatorio a corredo.

Già da molti anni stiamo assistendo ad un tradimento sistematico del principio di sussidiarietà, che è stato falsamente cavalcato per ottenere la devolution e far allungare la mano dello stato in modo più capillare all’interno delle strutture della società: la delega di poteri verso il basso, quando avviene tra enti comunque pubblici, non è sussidiarietà, ma decentramento per fini palesemente economici. Più enti, più poltrone, più soldi da distribuire. In ogni caso si tratta sempre di enti pubblici, che siano comuni, province o regioni, con il loro pesantissimo e complicatissimo peso burocratico, con l’aggravio della sovrapposizione di competenze tra gli enti, tanto per rendere la vita del cittadino ancora più complicata.

Parallelamente, è in atto un tentativo continuo e martellante di distruggere le aggregazioni minori che si interpongono tra il singolo e lo Stato: la scuola è presa d’assalto dagli ultimi decreti del governo con una violenza inaudita, con lo scopo di prenderne possesso, sia dal punto di vista organizzativo (vedi la nuova figura del super preside), sia, ahimè, dal punto di vista educativo (vedi il mostruoso ddl Fedeli sull’indottrinamento per la parità di genere).

Per non parlare della famiglia, cellula fondante dello Stato italiano, come è affermato dalla costituzione, e invece demolita pezzo per pezzo, con attacchi economici (detrazioni ridicole per i figli, due coniugi pagano più tasse che se fossero due conviventi), legali (via col divorzio breve, avanti con i contratti prematrimoniali) e ideologici (vietato farsi vedere in pubblico con una banale maglietta di Manif, perché ostentare l’immagine della famiglia tradizionale è omofobia).

Lo stato vuole davanti a sé dei cittadini soli e inermi, senza nessuna protezione, manipolabili, sfruttabili come schiavi, privi di umanità, ridotti a soggetti economici. Uno Stato che interviene a gamba tesa dentro le aggregazioni sociali minori di solito si chiama dittatura e il nuovo dittatore avanza, in tutta Europa, con il volto di diversi governi, ma l’unico filo conduttore: mammona.

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

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