In nome del popolo italiano

Migliaia di sentenze vengono  pronunciate ogni giorno nelle aule giudiziarie, “in nome del popolo italiano”, a conclusione di processi civili, penali e amministrativi. Lo vuole l’articolo 101 della Costituzione: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Una precisazione che i padri costituenti ritennero necessaria, perché in precedenza le sentenze erano pronunciate “in nome del re imperatore” e i giudici erano soggetti al regime fascista.

Dietro a questa frase, che legata all’articolo 1 della Costituzione, dovrebbe garantire la sovranità del popolo italiano, vengono oggi emesse le sentenze più fantasiose, frutto di una giurisprudenza creativa e sperimentale, che più che applicarle, le leggi, le prototipa.

Una tendenza molto pericolosa si fa strada nelle aule di tribunale, sorretta da un termine non nuovo, ma che non ha niente da invidiare agli assurdi termini della neolingua: disapplicazione. Sempre più spesso i giudici si fanno beffe delle leggi e di chi le ha promulgate, disapplicandole in sede di giudizio. Quello che dovrebbe essere uno strumento delicatissimo da usare solo in estrema ratio, viene tirato fuori dal cilindro ogni qualvolta serva scavalcare un parlamento scomodo.

Abbiamo assistito, impotenti e scoraggiati, al battere del martelletto dopo che bambini sono stati dichiarati figli di due donne, dopo che persone dotate di organi genitali maschili hanno ottenuto lo status di donna, dopo che coppie che hanno comprato figli all’estero, con una pratica barbara e ingiusta vietata in italia, sono state dichiarate genitori. Tutto in nome di un popolo italiano che si dimostra sempre meno sovrano e sempre meno disposto a tollerare questa configurazione arrembante e politicizzata della magistratura.

La distanza degli organi di giustizia dalla realtà sembra sempre maggiore. Le sentenze sono sempre meno aderenti a quello che il popolo percepisce come giusto e questo è a causa da un lato della strumentalizzazione politica del grimaldello giudiziario (tanto per non fare nomi, basta contare il numero di processi fatti a mr.B.), dall’altro l’assoluta assenza di azioni giudiziarie nei confronti di aziende e personaggi legati alla coalizione di maggioranza (tipo il padre di Renzi, la banca della famiglia Boschi, eccetera).

Ma la follia che pervade il sistema giudiziario italiano non si ferma a problemi che si potrebbero relegare alla nicchia delle questioni ideologiche o all’universo molto più vasto delle questioni politiche, bensì chiunque sia giudice e si svegli la mattina con l’idea di dire la sua, la dice, molto semplicemente. E niente glielo vieta. E niente gli vieta anche di dirla in “nome del popolo italiano”.

L’ultima questione che mi mette ancora di più il dubbio che siamo di fronte ad un organismo, non solo indipendente e separato dagli altri poteri, ma che spesso si permette di prevaricare in modo del tutto arbitrario gli altri istituti, è quella dell’anticipo del pensionamento dei giudici, impugnato dai giudici stessi che non vogliono anticipi di pensionamento.

Dal primo gennaio 2015 i giudici sarebbero dovuti andare in pensione a 70 anni anziché agli attuali 75, è una legge del governo Renzi della quale si capisce il senso se si vanno a vedere gli stipendi a fine carriera di questi magistrati. Sembra, ad esempio, che i giudici della Consulta, il tribunale dove vengono emesse le sentenze che riguardano la costituzionalità delle leggi e delle azioni, guadagnino stipendi doppi o tripli dello stesso Presidente della Repubblica, oltre ad avere tutta una schiera di benefits attinenti ai ruoli istituzionali così importanti.

Non tutti i giudici italiani sono membri della Consulta, ovviamente, ma è facile il parallelo che dice, al di là dell’inconfutabile eroismo dei giudici che rischiano la vita per la delicatezza del loro mestiere e pur restando immutato il rispetto e l’onore tributato a chi è morto per la Nazione, che certi mestieri, nella maggioranza dei casi, sono tutt’altro che usuranti e che rimanere sulla poltrona fino a 75 anni anziché fino a 70, è molto meglio che finire al circolo a giocare a briscola e tresette con i pensionati della Fiat o peggio ancora con qualche esodato.

Sì perché chi non vede di buon occhio la presa di posizione dei magistrati, che si sono manifestati contrari all’anticipo dell’età pensionabile, sono proprio coloro che sarebbero ben felici di ricevere lo stesso trattamento, ma che invece si trovano in tutt’altra situazione. Addirittura tra le motivazioni per cui la legge viene impugnata si può leggere quella di Mario Cicala, giudice di Cassazione che definisce questo provvedimento come “lesivo della sua legittima aspettativa a rimanere in servizio”.

Cioè siccome il sig. Mario Cicala aveva programmato di stare al lavoro fino a 75 anni, questo non gli può essere impedito arbitrariamente dallo stato, con una legge. Al contrario, tutti coloro che si sono visti cambiare l’orizzonte vitale dalla legge Fornero e che, nei casi più estremi, oltre che senza lavoro, si sono trovati pure senza la pensione e senza gli ammortizzatori sociali, devono incassare il colpo e zitti. Mica sono giudici loro.

Eppure sarebbero popolo, sarebbero popolo e sarebbero pure sovrano. Sarebbero popolo, sovrano e dovrebbero essere protetti dai giudici e normati dal parlamento. Purtroppo l’attuale situazione in Italia è ben diversa, spesso ci troviamo ad essere normati dai giudici e a non sapere chi ci difende dal parlamento.

Pensiero Profondo Written by:

Pensiero Profondo è un calcolatore gigantesco programmato da una razza di esseri superintelligenti e pandimensionali per trovare "la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto". Dopo sette milioni e mezzo di anni di elaborazioni, Pensiero Profondo fornisce la Risposta alla Domanda fondamentale. La risposta è 42, argomentando come segue: "42", in realtà, è una risposta buona quanto un'altra. Il vero problema è: qual è la Domanda fondamentale? Nessuno, infatti, si è preso la briga di fare al megacomputer la Domanda giusta...

Be First to Comment

Rispondi