Silvia è down, diplomata con 100

Una madre scrive alla madre di Silvia, neodiplomata con 100 centesimi malgrado la sindrome di Down, che aveva raccontato al Corriere la storia di sua figlia. Con tanti auguri per il futuro di una ragazza che potrà stravolgere i luoghi comuni sulla “normalità”.

Ho letto la bellissima lettera che una madre fiera ed orgogliosa ha scritto alla figlia Silvia neo diplomata col massimo dei voti, figlia speciale perché affetta dalla sindrome di down: nonostante questa sua caratteristica percepita come disabilità dal mondo, Silvia ha saputo dimostrare il suo valore nella scuola con determinazione, raggiungendo risultati invidiabili. E mi sono commossa, perché è una bellissima storia che parla di giustizia e realtà: finalmente qualcuno dimostra chiaramente che essere down non è una disgrazia da evitare a tutti i costi, ma è un modo di essere, come ce ne sono tanti, che nulla toglie alla possibilità di realizzarsi pienamente e nella gioia.

Purtroppo di questi esempi ce ne sono pochi, per due motivi tristissimi: i bambini down non nascono più (tutti abortiti) e sempre meno la società è disposta a far loro posto, supportandoli con giusti strumenti di integrazione (e questo vale per moltissime altre patologie ahimè). Ma la cosa più atroce secondo me è che la discriminazione verso i down è radicatissima in ambito medico, e per una coppia di genitori che desideri accogliere la nuova vita senza pregiudizi la strada si presenta in salita da subito. A tal proposito vorrei raccontare la mia esperienza, assai triste ed emblematica.

Alcuni anni fa ho vissuto una gravidanza difficile e alla fine dell’accidentato percorso sono sbarcata al Sant’Orsola di Bologna, dove una classe di giovani medici tirocinanti si è dedicata con grande scrupolo e interesse al mio caso clinico raro. L’avvincente complicazione era diagnosticare con esattezza le patologie che la mia bambina aveva, attraverso le semplici ecografie. Infatti io mi ero rifiutata di fare esami invasivi, tipo amniocentesi, villocentesi e tutte le altre centesi di questo mondo, e in due giorni di ricovero i medici mi rimproverarono non meno di dieci volte per questa irresponsabile scelta che mi conduceva lì, fuori tempo massimo per ogni possibile aborto.

Alcune certezze erano state raggiunte però: una patologia cardiaca e una all’apparato digerente c’erano. Quanto gravi, non sapevano dirlo. Compatibili con la vita? Forse, forse no. Insomma, la situazione era drammatica. Io pensavo alla mia piccola batuffolina che se ne stava beata e protetta dentro la mia pancia, ignara del fatto che il mondo fuori per lei sarebbe stato davvero subito molto ostile, la sofferenza l’avrebbe carpita rapidamente, la sala operatoria l’attendeva prima delle mie braccia rassicuranti.

E mentre cercavo di non scoppiare a piangere davanti a tutto lo stuolo di camici bianchi assorti davanti ai monitor, un medico, con voce improvvisamente contrita, cupa, sentenziò: “però signora le devo dire in tutta onestà che esiste anche la possibilità fondata che … sua figlia sia affetta da sindrome di down”. Fino a quel momento aveva parlato di aorta strozzata, insufficienza coronarica, atresia esofagea, intervento entro le prime ore di vita, probabilità di sopravvivenza del 40% con un tono del tutto indifferente, professionale, spento, come se parlasse dell’appendicite. Finora mi aveva esposto tutte possibili patologie che loro erano in grado comunque di curare, per le quali la medicina poteva fare qualcosa. Adesso invece era arrivato il nocciolo della questione, quel difettuccio per il quale non potevano fare nulla, quella macchia indelebile che avrebbe reso vano ogni loro sforzo.

Io rimasi del tutto impassibile, anzi, le lacrime che avevo in gola tornarono indietro da sole, ingoiate dalla sorpresa. Il medico attese alcuni istanti, poi scandì: “ha capito cosa ho detto?”. E io, tranquilla e serafica, risposi che sì, avevo capito benissimo. Altro non aggiunsi, non mi pareva il caso. Ma di cose ne pensai un treno, tutte in una volta, che mi si intasò il cervello.

E’ mai possibile che rispetto al rischio di morire, avere la sindrome di down fosse percepito come una cosa più grave, atroce, terribile? Quale colpa è associata a quei simpaticissimi occhi a mandorla, perché questa è una disabilità inaccettabile per la moderna società? Di cosa sono accusati, quale rivolgimento interiore provocano per suscitare tanta repulsione?

Chi ha un figlio down è percepito come uno sciocco ingenuo, o, nella migliore delle ipotesi, uno stupido idealista, che non ha voluto fare gli accertamenti al momento giusto. L’idea che un genitore semplicemente voglia far nascere il proprio figlio invece che ucciderlo neanche entra nella testa dei medici. Bisogna lottare per difendere il proprio cucciolo già dal momento del concepimento, contro questa medicina che tante volte invece di curare vuole sopprimere, con una leggerezza che mi lascia allibita, costernata.

Ma poi, sgombriamo il campo dagli idealismi e parliamo di logica: anche chi nasce perfettamente sano e con tutti i geni apparentemente a posto, è così sicuro che starà sempre bene? A mio zio neanche quarantenne è venuta la sclerosi multipla. E’ meglio o peggio che essere down? Un altro è morto di tumore allo stomaco, come sua madre e la madre di sua madre. E’ meglio o peggio che essere down? Se la loro predisposizione a queste malattie fosse stata diagnosticabile in una diagnosi prenatale, sarebbe stato giusto o sbagliato farli nascere?

Loro una risposta l’hanno data, perché hanno avuto l’opportunità di esprimere la loro opinione, e sì, sono felici di essere nati, di aver vissuto in salute finché hanno potuto e in malattia quando non hanno potuto fare diversamente. Che cosa hanno meno di loro, meno di noi i bambini affetti da sindrome di down?

Mia figlia è nata geneticamente normale e fisiologicamente un disastro. Se avessi potuto fare a cambio tra l’insieme di tutte le sue patologie e la sindrome di down, non ci avrei pensato un attimo. Però l’infermiera che me la accostò al viso un secondo prima di portarmela via, esultò dicendo “è sana! Non è down!” come se le due cose fossero sinonimi, come se questa frase potesse consolarmi. Sana.

Da allora a me quegli occhi a mandorla stanno simpaticissimi, mi sembra di rintracciare nel sorriso sempre così aperto e gioviale dei loro volti il valore aggiunto di una famiglia che non si è lasciata intimidire dalla mentalità corrente, e che ha saputo puntare sulla vita, non quella perfetta che non esiste, ma quella vera, reale, con cui abbiamo a che fare tutti i giorni, fatta di fatica, limiti e tante soddisfazioni.

Allora io mi aggiungo a quella madre per fare gli auguri a Silvia, perché oltre ai brillanti risultati nello studio possa avere l’opportunità di dimostrare quanto vale anche nel mondo del lavoro. Pensa che bello se andasse a lavorare in ospedale, tipo un bel reparto di ostetricia, e testimoniare col suo volto bellissimo a tutti quei medici scettici che a non essere sana è solo la morte.

Pubblicato su La Croce dell’11 giugno 2015

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

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