Se i bambini stanno meglio in istituto

Arrotondiamo, 40 anni fa io nascevo e in India vedeva la luce una delle più grandi istituzioni per il bene dei bambini abbandonati ad opera della congregazione fondata dalla Beata Madre Teresa di Calcutta.

Le Missionarie della Carità erano infatti presenti in India già da 20 anni, offrendo il loro servizio gratuito ai più poveri tra i poveri, quando avviarono anche la cooperazione per l’adozione internazionale.

Molte erano infatti le attività svolte a favore dei più piccoli e dei più deboli quali: scuole per bambini di strada o di famiglie particolarmente indigenti; case per l’accoglienza temporanea di bambini con gravi problemi di salute; progetti per il recupero e il reinserimento sociale di bambini e adolescenti di strada; supporto economico alle famiglie indigenti per rette scolastiche, libri di testo, medicinali; dispensari medici fissi e mobili; case di accoglienza per ragazze madri e madri in difficoltà, e dal 1976, si aggiunse anche l’opera di rendere una famiglia a coloro ai quali la sventura l’aveva tolta.

Non è facile fare un resoconto o sintetizzare in pochi numeri il mastodontico lavoro svolto nel subcontinente indiano, in più di mezzo secolo da decine di istituti, allo stesso modo non è quantificabile il danno che l’interruzione di una attività come questa possa procurare a tutti i bambini, milioni in India, che non hanno più una famiglia.

Già dall’agosto scorso, quando l’India, per voce del suo Ministro dello sviluppo della donna e dei minori, Maneka Sanjay Gandhi, aveva annunciato l’apertura delle procedure di adozione anche per i single e i divorziati, le suore degli istituti avevano protestato vivamente per la violenza che si sarebbe procurata di nuovo ai bambini già duramente provati dalla vita.

Il diverbio si è acuito nelle settimane successive, quando dalle parole, gli istituti sono passati ai fatti. Dal primo agosto i 15 orfanotrofi indiani non collaborano più con le autorità per procedere con le adozioni. Suor Bressila spiega: «Abbiamo fermato le adozioni, ma continueremo a seguire la missione e la visione di Madre Teresa. Noi abbiamo fiducia in Dio, che ci ispirerà su cosa fare. Continueremo ad occuparci dei bambini, ma non accettiamo le nuove regole perché nello spirito del lavoro cominciato dalla nostra fondatrice, ci risulta molto difficile rispettare tutte le disposizioni previste».

La risposta del Ministro è arrivata poco dopo, sprezzante e offensiva, soprattutto perché rivolta ad un isituto, quello di Madre Teresa, che nel complesso ha sempre aiutato la società indiana con grande impegno e senza mai schierarsi in alcun modo né pro, né contro al governo:  «L’attuale blocco, per ragioni ideologiche, mi porterà a revocare l’autorizzazione a gestire i centri».

Ecco che la libertà religiosa, diritto fondamentale dell’uomo sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è ancora una volta calpestata e contortamente considerata ideologia. Se infatti è diritto delle suore di chiudere i centri ed è legale revocare le autorizzazioni, è del tutto scorretto, gravemente ingiusto e offensivo, tacciare chi ha preso questa decisione, di essere guidato da una ideologia.

La missione di queste consacrate è da sempre con i poveri e per i poveri, ma è dotata di principi, di regole. Ha un credo e una guida nelle parole e nei fondamenti che la Beata Madre Teresa ha nel tempo enunciato e raffinato. E se in queste linee guida è insito il precetto che per le adozioni si debbano prendere in considerazione famiglie composte da padre e madre, bisognerebbe provare anche ad andare oltre alla visione del limite che questo comporta. Sarebbe interessante domandarsi anche come mai, nel contesto Indiano, questo, oltre che un precetto religioso, possa essere anche una necessità per aumentare le garanzie che i bambini vengano davvero adottati, piuttosto che finire in mano a persone senza scrupoli.

Non possiamo non ricordare che l’India, potenza atomica, è tutt’oggi una società divisa, stratificata in caste, dove l’uomo ha valore per come nasce e per dove nasce. La vita umana in certi ambienti vale meno, molto meno di quella degli animali. E’ di pochi giorni fa la notizia che un uomo, in una provincia del nord, è stato linciato e ucciso perché sospettato di aver consumato carne di vacca.
Le suore sanno che i bambini sono purtroppo merce preziosa agli occhi degli avidi mercanti di umani, per non parlare del rischio che correrebbero finendo nel giro del mercato nero di organi.

Una famiglia è più controllabile. Almeno reciprocamente al suo interno, il marito controlla la moglie e viceversa, ma anche solo statisticamente una famiglia dà più sicurezza di un single. Quindi perché indicare come ideologica una scelta che agli occhi di chiunque sembrerebbe, se non saggia e sensata, quantomeno spiegabile e comprensibile?

Appare invece che il tentativo di togliere la naturale essenza alle cose, sia di per sé molto più ideologico che non la decisione delle suore. Come si può infatti giustificare la scelta di aprire all’adozione ai single, se non con l’adesione ad una teoria, secondo la quale è il desiderio dell’adulto a dover essere soddisfatto, piuttosto che la necessità di dare una famiglia ad un bambino?

Viene infatti messa in primo piano l’antropologia adultocentrica, secondo la quale si dà ascolto a chi ha voce, si soddisfa chi chiede, si tutela il più forte. In poche parole, ci si fa forti con i deboli e deboli con i forti, ma si percorre la strada pericolosa della sovversione dell’ordine naturale, secondo la quale, non essendo più la famiglia composta da padre e madre il luogo elettivo per i figli, allora non si cerca più di ripristinare niente, ma solo di garantire un figlio a chi lo chiede, qualunque sia la sua condizione.

L’idea sostenuta dalle suore è che se non si lavora più per dare il meglio ai bambini, cioè un padre ed una madre, ma ci si limita a considerare l’amore e il mantenimento come condizioni sufficienti, allora tanto vale che restino in orfanotrofio, dove hanno tutto l’amore di chi li ha accolti, la garanzia di un pasto e un letto caldo ogni giorno e, molto importante, si evita il trauma di un distacco inutile, vista l’assenza di valore aggiunto della nuova sistemazione.

Come si fa a contrastare questa deriva, per la quale chi resta senza voce sono i più deboli, per dirla all’indiana, i paria?

Per fortuna le contorsioni che si devono fare per mantenere viva una ideologia che non si basa sulla verità, sul naturale, sul tangibile, sono tante e tali da notare che spesso chi la professa è costretto ad avvolgersi su se stesso. Come è successo sabato a Milano.

Sabato 10 ottobre, in occasione della manifestazione pro-vita dell’associazione No194 ci sono stati degli scontri diretti e indiretti. Il corteo infatti si è dovuto snodare nel percorso, protetto dalle forze dell’ordine, subissato da offese e insulti rivolti dai pro-choice, che avevano anche nottetempo tappezzato i muri di decine di scritte inneggianti all’aborto ed al diritto ad esso, sancito dalla attuale legge.

La cosa più interessante però la si può trovare nel comunicato che i contromanifestanti hanno dato ai giornalisti perché lo pubblicassero (e per fortuna lo hanno fatto davvero): «Le loro marce, le loro veglie, i loro manifesti e i loro gadget, le loro battaglie oggi anche sui social, sono tutti palesi tentativi di sostituirsi alle donne, ridotte a mero ruolo di incubatrice, i cui diritti sono ridotti a briciole, come irrilevanti inezie rispetto al destino superiore del feto. Madri a ogni costo, anche contro la propria volontà, perché in quanto donne noi non dovremmo poter decidere su noi stesse e su quanto avviene dentro di noi. Si comprende quanto si intenda svuotare le donne di una piena capacità decisionale e di potestà su se stesse. I diritti riproduttivi hanno una valenza molto ampia, investono la donna in quanto essere umano, eguale e pienamente titolare di diritti inviolabili.»

Ecco, vorrei chiedere ai pro-choice se credono davvero a quanto hanno scritto, e come intendono coniugare queste affermazioni con la barbara pratica dell’utero in affitto, che fa della donna un’incubatrice a tutti gli effetti, mero contenitore riscaldato per un bambino che le verrà strappato appena venuto alla luce, per la soddisfazione del capriccioso desiderio di qualche ricco. Affittare il proprio utero a causa della condizione di indigenza in cui si vive è per caso esercitare “piena capacità decisionale e di potestà su se stesse”? O indurre, sempre per denaro, tante giovani donne a farsi estrarre degli ovuli dopo un pesante bombardamento ormonale, con grave rischio per la salute e per la propria furtura capacità riproduttiva, non sarebbe una violazione dei loro diritti riproduttivi, i quali “hanno una valenza molto ampia, investono la donna in quanto essere umano, eguale e pienamente titolare di diritti inviolabili”?

E’ ideologia una teoria che, per stare in piedi, accetta di contraddire la realtà, la natura e persino se stessa. E così assistiamo alla sceneggiata dei ricchi acquirenti di bambini che recitano il ruolo di povere vittime del sistema, e alle assurde accuse alle suore Missionarie della Carità di comportamento ideologico da parte di  funzionari dei governi.

Per concludere con un esempio di pura matematica alla Chesterton, se associamo alla verità un valore positivo e alla falsità uno negativo, possiamo dire che il prodotto della verità è sempre positivo, mentre il prodotto delle bugie non ha la caratteristica di essere sempre negativo.
E’ in questa asimmetria che dobbiamo piantare il legno della Croce di Cristo e usare la forza del Vangelo per fare leva e scardinare questa cultura della menzogna.

Arthur Dent Written by:

Sono un normale essere umano, un giovane che viene trascinato in giro per la galassia da un amico, rivelatosi un alieno in un momento quanto mai provvidenziale: infatti, pochi istanti prima che la Terra venga disintegrata per fare posto ad una superstrada spaziale, riesco a salvarmi facendomi dare un passaggio da un'astronave Vogon. Questo lungo giro per la galassia non mi cambierà nel profondo del mio animo, gentile e innocente, ma mi insegnerà almeno a sapere sempre dov'è il mio asciugamano.

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