Quando la vita bussa alla porta del cuore

Sta diluviando: l’acqua scende fitta, grossa e storta contro i miei vetri  puliti giusto ieri, tanto per ribadire il concetto di quanto sia inutile il lavoro della massaia. Atteggiandomi a ragazza-social, ho fatto la ganza tutto il pomeriggio al pc, dimenticando che dovevo provare a fare la piadina (che sono romagnola, ma cucino come una tedesca). In un raro slancio di maternità, ho poi prodotto con la prole entusiasta una puzzolentissima camomilla fatta coi fiori raccolti nel campo dei nonni. Al primo sorso, ho capito che era meglio se restavo al pc un altro po’.

Con le bollicine in testa e i pensieri a girovagare liberi e indisciplinati, mi sono ritrovata a riflettere su quanto mi stiano male addosso gli stereotipi di mamma tradizionale: odio cucinare, spazzare, stirare, ma più di tutto, sopra ogni altra cosa, detesto con anima e corpo….sistemare i panni stirati e piegati dentro gli armadi e nei cassetti. Non so bene perchè, ma lo detesto proprio, tipo che mi si rovina la giornata quando sull’asse da stiro mi imbatto nella pila di panni da rimettere a posto.

E’ che apro le ante ed ecco che un mondo proibito mi investe: di tutti quei maglioni, pantaloni, camice, canotte che riempiono i ripiani, quanti vanno ancora bene alle mie figliole in crescita? Sono tutti da riprovare? Sono da ricomprare? Quando ci vado? Dove ho il tempo? Ma soprattutto, i vestiti che non vanno più, dove li metto? Nel contenitore giallo della Caritas, nel bidone di fronte a casa, a cuginetti più piccoli, oppure….in soffitta per il futuro?

Sì, ma quale futuro? Ho già tre figli, finalmente grandicelli, ho una certa età, tante attività da portare avanti, tanti desideri da realizzare per me. Basta con pappe, nanne e pannolini! Sono entrata nell’età dei compiti, delle cotte, dei brufoli, e, anche se ammetto che non sia una passeggiata nemmeno adesso, comunque mi ci trovo bene: dà una certa soddisfazione vedere i propri figli cresciuti, ci si sente comunque un po’ compiuti, arrivati.

E così l’anno scorso ho iniziato per la prima volta a disfarmi dei panni troppo scarsi: niente più soffitta, ma smistamento verso parenti, conoscenti o addirittura bidone.  Ma da allora una ferita mi si riaccende nel cuore ogni volta che apro le ante dell’armadio dei miei figli: è un ribadire una scelta ad ogni maglioncino archiviato in modo definitivo, un ribadire doloroso e poco convinto.

Eppure sono una pessima madre, poco affettuosa, sbrigativa, sbadata, distratta, totalmente priva di tutte quelle doti di particolare cura che vedo nelle altre mamme: non faccio il pane in casa, sono anni che non cucino un dolce, non organizzo cacce al tesoro per gli amichetti dei figli. E anche la maternità dei primi tempi, diciamo la verità, era più faticosa che gloriosa. Le notti insonni hanno ben poco di poetico.

Ma ogni volta che apro l’armadio, quella canotta scarsa che non va più bene a nessuno mi occhieggia dal fondo della pila e mi chiede impertinente “e di me che vuoi fare?”. La seppellisco coi vestiti stirati di fresco, chiudo in fretta ed esco rapida dalla stanza. Ormai non ci stanno più i panni dentro, non ne posso mettere altri senza togliere i vecchi. E la primavera, spudoratissima, arriva a pretendere pure il durissimo lavoro del cambio degli abiti, occasione inevitabile di bilanci sul guardaroba.

I miei figli sono nati tutti così: prima nel cuore, sotto forma di un pizzicorino dentro lo stomaco, un’idea stuzzicante, un desiderio impertinente, e poi sono arrivati nel corpo. E’ come se fossero esistiti da qualche parte prima che in me e semplicemente avessero bussato per chiedere di venire al mondo. Credo che essere disponibili alla vita significhi in fondo solo tenere le orecchie aperte e lasciarsi intenerire senza pudore da una tutina taglia 0-3 mesi, così, gratis, senza tanti conti di convenienza.

Oggi il figlio unico impéra: ci si imbatte sempre più spesso in madri non giovanissime che si prodigano senza vergogna per stendere il tappeto rosso davanti ai piedi del loro figliolo unico e meraviglioso, sul quale riversano ogni aspettativa e ogni energia. Ma guai a suggerir loro di fare un fratellino: apriti cielo! E poi come faccio a seguirlo, ti rispondono. Eccerto, a stargli così addosso uno è già troppo. D’altra parte, come biasimarle? Piacerebbe tanto anche a me avere un solo figlio da assillare per bene, in modo da farne un genio a scuola, un campione nello sport, un leader con gli amici. Non so se piacerebbe anche a lui però. Io vedo che i miei tre figli sono ben contenti di spassarsela allo stato brado per casa, sicuri che l’unione fa’ la forza e la mia condizione di svantaggio numerico non mi permetterà mai di seguirli con troppa continuità.

Tra di loro imparano autonomamente dinamiche di conflitto e di risoluzione più o meno pacifica dei diverbi, sviluppano la capacità di farsi complici l’un l’altro, di farsi rispettare e di rispettare. C’è spazio per tutti: la precisina che sembra un avvocato e argomenta sempre di giustizia, l’egocentrica che fa la vittima e non è mai colpa sua, il ruffiano che sbatte gli occhioni e piange a comando per intenerire e ottenere quello che vuole. Queste tecniche a confronto mostrano la corda in modo quasi buffo: il trucco si vede subito, si stanano l’un con l’altro. Credo che se avessi un solo figlio, ne sarei completamente ostaggio. A totale suo danno: non serve a nulla un genitore asservito ai capricci di un figlio, perché non insegna la retta via e non comunica nemmeno l’amore che lo muove, ma solo la debolezza di non saper mettere in secondo piano il proprio desiderio di soddisfare rispetto all’esigenza di educare.

Ok, però io di figli ne ho già tre e non sono certo più tanto giovane; adesso vorrei starmene tranquilla a badare agli affari miei, non mi va proprio di imbarcarmi in un’altra avventura così. Meglio accompagnarmi coi miei acciacchi e le mie certezze in panciolle sul divano. Mentre mi ripeto questo ritornello, apro il cassetto straripante e cade a terra giusto un calzino, piccolo piccolo, con un tenero orsetto disegnato sopra. Dai, Signore, lasciami in pace, chiedi a qualcun altro! Mannaggia mannaggia, c’è qualcuno che bussa alla porta del cuore…

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

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