Ma quale bene comune?

La libertà intesa come assenza di principi comuni e come individualismo sfrenato ci ha scollegati dalla collettività, non riconosciamo più un punto centrale attorno a cui stringerci e riunirci, perciò rimettiamo mano anche all’inno di Mameli.

Nel weekend appena trascorso ho deciso di dedicarmi a qualche lettura leggera e così sono passata in libreria, ma purtroppo sono uscita con un tomo tutt’altro che lieve: “Le società liberali al bivio” di Vittorio Possenti.

L’autore affronta in modo serissimo la nozione di bene comune, dal punto di vista storico e filosofico, diradando parecchia nebbia che aleggiava nella mia mente attorno a questo concetto.

Da cattolica di campagna, poco avvezza alla politica, al massimo pigra elettrice dell’ultimo minuto, ammetto di aver sempre nutrito la segreta fiducia che la nozione di bene comune fosse un pilastro da cui nessun politico o amministratore della cosa pubblica prescindesse mai. Pensavo che, pur nelle grandi differenze attuative, ogni ideale politico avesse in sé un progetto per ogni cittadino, sia per l’elettore di riferimento che per quello non destinatario immediato della propria propaganda.
Mi piaceva credere che i partiti proponessero tutti un riequilibrio dei diritti e dei doveri in virtù di una loro visione di giustizia sociale, senza mai pensare di sottrarre ad una parte più del dovuto né promettere ad un’altra più del concedibile, considerando che comunque la coperta è corta e le risorse non sono infinite, né i diritti privi di un confine.

Purtroppo lo scenario politico italiano già da parecchi anni ha disatteso grandemente le mie aspettative, tanto da disamorarmi ancor di più dalla politica e farmi pensare che le mie fossero solo pie illusioni, frutto di un’innocenza ignorante e stolta. Ora, però, dopo la lettura di questo libro difficile, ho trovato la giustificazione filosofica del mio sentire e mi sento rinvigorita nella convinzione che questo sia un sogno da attuare.

Dice Vittorio Possenti:

“Quando il filosofo intraprende a considerare il problema del bene comune gli si presentano due questioni: che cosa è il bene comune? come possiamo raggiungerlo? Se nel rispondere alla seconda si prendono a oggetto le moderne società liberaldemocratiche e pluralistiche dell’Occidente, affiorano altri interrogativi notevoli quali: può una società pluralistica possedere un bene comune? Può esso venire adeguatamente prodotto e ridistribuito, se nella società manca un sufficiente consenso morale, e se le istituzioni si considerano neutrali rispetto all’idea di buona società e di buona vita?”

In altre parole, sussiste un dubbio importante: se un’istituzione vuole mantenersi neutrale rispetto alle questioni morali, se si astiene dall’elaborare un ideale di buona società per la collettività e buona vita per l’individuo,  può ancora possedere un bene comune come fine da perseguire? Oggi assistiamo ad una varietà centrifuga di idee e comportamenti su cosa sia bene o male per l’uomo e questo pluralità infinita rischia di far dileguare anche il concetto di comunità.

La libertà intesa come assenza di principi comuni e come individualismo sfrenato ci ha scollegati dalla collettività, non riconosciamo più un punto centrale attorno a cui stringerci e riunirci, per il quale lottare e combattere anche, se necessario. Infatti nell’inno di Mameli cantato all’inaugurazione dell’EXPO si è preferito sostituire il patriottico “siam pronti alla morte” con un più moderno e liquido “siam pronti alla vita”, sottinteso ciascuno la sua, a discapito della comunità, che infatti neanche esiste più.

La Chiesa con la sua dottrina sociale insiste molto sul concetto di bene comune e forse anche per questo molti atei anticlericali lo ritengono solo il frutto di un mito romantico ed irrealizzabile di una comunità perfettamente solidale ed armoniosa, una favola religiosa insomma.

In realtà il concetto di bene comune è vitale per l’intera filosofia pubblica e senza di esso crolla il senso di ogni progetto politico. Per capire questo, basta immaginare un mondo in cui davvero il bene comune non esista: per quale motivo dunque gli uomini dovrebbero continuare a vivere insieme? Perché stipulare contratti? Sulla base di quali presupposti e con quali scopi creare forme associative ed organizzative?

“Contro le valenze anarchiche dell’arbitrio del singolo può resistere qualcosa di più alto, capace di legare e accomunare le persone: e il bene comune accomuna, in esso ci sono conciliazione e solidarietà.”

Il bene comune è dunque il fine e anche il principio fondante di ogni società politica e tutti coloro che, per ottenere consensi personali o per il proprio partito, disattendono a questo fine, stanno tradendo la società stessa e il senso profondo della loro vocazione personale.
I partiti, i sindacati, le associazioni di categoria e tutti le organizzazioni che sono nate a tutela dei diritti di qualcuno e che si propongono di compiere azioni che difendono solo una parte della collettività, non stanno perseguendo il bene comune, ma solo interessi corporativi. I diritti di una parte, che sia questa minoranza o maggioranza, non possono giustificare il totale oblio dei diritti di tutti gli altri, che pure hanno pari dignità. I diritti non hanno una vastità infinita, ma sono confinati all’interno della realtà tangibile e devono fare i conti con la limitatezza delle risorse. La politica è l’arte del compromesso, o più nobilmente, è la realizzazione concreta della giustizia sociale, che si manifesta nella ridistribuzione, la più equa possibile, delle risorse disponibili, tenendo conto di tutti, tutti, tutti.
E’ ovvio che all’interno di questa azione entra la dialettica politica nella sua interezza e la diversità di visione e interpretazione della società.

L’idea di Bene è centrale e fondante: non può essere sostituita semplicemente con il concetto di libertà. E il contenuto del bene comune, pur soggetto a tante vicissitudini storiche e concretamente determinato dalle leggi, è essenzialmente regolato dal diritto naturale e fa allusione ai diritti dell’uomo.

Oggi assistiamo al tentativo di tradire anche le leggi della natura, quelle che non sono mai state messe in discussione da nessuna società più o meno evoluta, proprio perché istintive e naturali, innate e fondanti: ogni individuo è unico ed irripetibile, nasce dall’unione di un uomo e di una donna, nasce uomo o donna, e la sua vita è sacra ed inviolabile, dal concepimento fino alla sua morte naturale.
La teoria del gender, che mette in discussione l’identità personale, la manipolazione genetica sugli embrioni, l’arbitrio con cui si stabilisce che fino ad una certa settimana c’è solo un grumo di cellule e solo dopo è vita, l’idea che la dignità dell’esistenza sia dipendente solo dal concetto di benessere psico-fisico, per cui una vita non dignitosa può essere eliminata, tutte queste teorie sono colpi di scure alla radice dell’albero del Bene comune: ma se abbattiamo questa pianta che sorregge tutta la società, crollerà la civiltà nella sua interezza.

Siamo furbi come Willy il Coyote, che sega il ramo su cui è seduto.

Pubblicato su La Croce del 09 maggio 2015

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

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