La dignità si possiede o si guadagna?

A ottobre la mia amata nonnina compie 98 anni, e non sono pochi. Da quando alcuni anni fa si ruppe il femore, sta in una casa di riposo, ben accudita e coccolata. Figli e nipoti la vanno a trovare tutte le settimane e lei sembra serena. E’ sempre stata una donna molto mite, silenziosa e paziente, per cui non si lamenta mai di niente: dice che il cibo è ottimo, il personale squisito, l’ambiente accogliente.

Noi crediamo che sia vero, ma certo resta sempre il dubbio che il suo desiderio di non disturbare e di non turbare nessuno la faccia desistere da qualunque forma di lamentela.
Ogni tanto capita di leggere sui giornali di qualche brutta faccenda accaduta in una casa di riposo, di anziani maltrattati perché incapaci di difendersi, di persone invalide malmenate invece che essere accudite. Queste notizie mi fanno sempre pensare alla mia nonnina dolce e silenziosa, e alla sua dignità, divenuta ora così fragile perché affidata alle mani di estranei.

La dignità di una persona è un bene prezioso, che va preservato e difeso da facili slogan buttati al vento, senza aver davanti di preciso un volto a cui rivolgersi, parole pesanti come macigni, tipo “vita degna di essere vissuta”, o “dolce morte”, o “differenza tra vita biologica e vita biografica”.
Dall’enciclopedia Treccani:

La dignità è la condizione di nobiltà ontologica e morale in cui l’uomo è posto dalla sua natura umana, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a sé stesso. La dignità piena e non graduabile di ogni essere umano (il suum di ciascuno), ossia il valore che ogni uomo possiede per il semplice fatto di essere uomo e di esistere è ciò che qualifica la persona, individuo unico e irripetibile. Il valore dell’esistenza individuale è dunque l’autentico fondamento della dignità umana.

Questa definizione, detta più propriamente teoria della dotazione, è stata messa in discussione più volte nei secoli, a più riprese, alternandosi e sovrapponendosi alla teoria della prestazione, secondo la quale il valore dell’individuo non è innato nella sua stessa natura, ma è una condizione da raggiungere.

La ragione per cui alcuni uomini dovrebbero essere degni più di altri di essere onorati sono mutate nel corso dei secoli: nell’antichità, la dignità umana era legata all’etica dell’onore che esaltava le virtù eroiche, la nobiltà d’animo e la magnanimità; poi è diventata la moralità dell’uomo e la sua capacità di dominarsi a nobilitarlo; poi è stata la volta della razionalità.

Quando storicamente la morale borghese sostituì quella aristocratica, la dignità umana diventò superiorità economica e capacità di far fruttare le fortune ereditate o acquisite. All’etica dell’onore si sostituì l’etica del lavoro, che al posto della magnanimità esaltava invece la parsimonia e la competizione.

L’ultima teoria, quella più recente in ordine di tempo, è di Luhmann (1999), secondo il quale la dignità umana è costruita sulla base del riconoscimento sociale della persona.

Il problema sostanziale di tutte queste teorie della prestazione, nelle varie sfumature e sfaccettature, è che riconoscono dignità solo agli uomini che l’hanno conquistata, secondo gli standards della cultura dominante. Dall’etica dell’onore a quella del lavoro, ognuna è stata fonte di disuguaglianza sociale, giustificazione filosofica di ingiustizie.

Fortunatamente oggi è prevalente l’idea che a tutti gli uomini si deve uguale considerazione e rispetto e che la dignità umana è inviolabile.
Questo concetto è ribadito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nella nostra Costituzione, cioè la dignità come valore assoluto è entrato a far parte della giurisprudenza costituzionalista dell’Italia e dell’Europa.

Poi naturalmente è vero che questa visione dell’uomo ha evidenti radici cristiane, che comunque l’Europa non ha mai riconosciuto apertamente, ma è altrettanto vero che è una visione che è stata già discussa e presa come base e fondamento del diritto comunitario, è un valore quindi laico, valido per tutta la società civile.

Ciò nonostante, si sta tentando di ridefinire il rapporto tra la dignità umana e i diritti che da essa dovrebbero discendere, utilizzando in modo improprio la parola dignità: non più supercategoria da cui discendono i diritti, bensì espressione riassuntiva di un particolare gruppo di diritti, quelli legati alla qualità della vita come la privacy o la non discriminazione sociale. In sostanza, la cultura corrente sta cercando di far passare il concetto che la dignità umana consista nello star bene con se stessi.

Quindi la dignità non è più valore ontologico, ma neppure valore acquisito o valore sociale, bensì percezione di benessere personale.
Questo equivoco linguistico ha ovviamente degli interessi a sostegno molto forti: tutta la bioetica si muove sul filo di lana del concetto di dignità umana. Così la distinzione tra vita biologica e vita biografica permette di far entrare negli ordinamenti giuridici l’aborto; il benessere psico-fisico della madre viene identificato con la sua essenza umana e quindi non può essere leso per difendere la sopravvivenza di un essere che, invece, non ha ancora un sistema nervoso così sviluppato da poter provare benessere o malessere (sarà poi vero?). Per non parlare ovviamente dell’eutanasia, che vuol passare come principio pietistico di rispetto della finta dignità (leggi sempre benessere) a discapito della vera dignità (leggi valore ontologico dell’essere umano).

Inoltre ridurre la grandezza dell’essere umano al suo limitato sentire, così personale e volubile, così soggetto a condizionamenti esterni, significa lasciare l’umanità in balìa di una indomabile tempesta. Per usare un’immagine freudiana, è come se volessimo far comandare il mondo al nostro inconscio invece che alla nostra ragione.

L’inganno che ci stanno tendendo attecchisce in silenzio sulle coscienze addormentate di tanti uomini stanchi, che hanno smarrito il senso di appartenenza alla grande famiglia umana e che non riconoscono più in se stessi quella dignità ontologica che dovrebbero invece difendere strenuamente. Così si accontentano di raccomandazioni buoniste che parlano di benessere, che esorcizzano il dolore, che allontanano l’idea di sofferenza.

Ma il carattere sacro dell’essere umano appare con maggiore chiarezza quando ci accostiamo all’uomo nella sua nudità e nella sua debolezza, all’uomo disarmato, così come lo incontriamo nel bambino, nell’anziano, nel povero: proprio nel momento in cui non ci sono più onore, gloria, potere, considerazione sociale e nemmeno benessere, solo allora emerge la bellezza dell’uomo, creatura che trascende se stessa, e che riflette un valore immensamente più grande, come la luna riflette la luce del sole.

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

One Comment

  1. Cristina
    13 Giugno 2015
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    un abbraccio alla “tua nonnina”

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