Inno a Nino, ovvero come si comanda

Il 20 giugno ero in piazza San Giovanni a Roma con un milione di persone per il family day e potrei aggiungermi alle tantissime persone che hanno espresso con magnifiche parole l’emozione provata, la gioia, l’entusiasmo e tutto il resto. Ma, oltre a tutto questo, che c’è stato, vorrei descrivere un’altra esperienza che ho fatto quel giorno, là in mezzo alle difficoltà organizzative di un evento così ampio e pieno di disagi, partendo dal racconto del viaggio avventuroso dalla Romagna a Roma, e ritorno.

Dunque, ci siamo ritrovati alle 8:30 in 75 in un pullman a due piani, con bambini tanti e piccoli, qualche passeggino, un paio di carrozzelle e alcune persone anziane non propriamente agili. Riuscire a far salire tutti, scegliere il posto, sedersi fermi, fare l’appello e già tre quarti d’ora se ne sono andati.

Nino, il resposabile della nostra comitiva, ci descrive il programma del viaggio: in marcia fino alle 12, poi sosta e volata verso Roma, cercando di entrare col pass fino a ridosso della piazza. Ma…alle 11 già alcune pipì, troppe, ci costringono alla sosta. Lunga, incontrollata. Nino cerca di ritirarci sul pullman. Insomma, siamo in ritardo, arriviamo a Cinecittà alle 14, impossibile entrare in centro.

Allora si prende la metro, biglietto di gruppo, cartello davanti e dietro per aprire e chiudere il gruppo, attenzione ai bambini, passo lento per gli anziani, passeggini giù per le scale.

Folla, ressa, oddio dov’è Samuele? La Marina è rimasta indietro! Luigi ha fame, Rita deve andare in bagno.

Nino continua calmo, deciso, a reggere il cartello di apertura, camminando girato costantemente indietro, attento con lo sguardo a non perdere nessuno di noi, a cogliere le difficoltà di ognuno.

Riemersi dal sottosuolo, accolti dalla coda dell’acquazzone che ha appena strapazzato quelli che in piazza ci sono già, ci dividiamo ombrelli e k-way e ci incamminiamo verso la piazza, con le solite difficoltà da comitiva eterogenea in mezzo ad un fiume di folla.

Finalmente arriviamo in piazza (alle 15, già strapiena) e ci sistemiamo sul fondo. Nino si raccomanda di rimanere compatti, di non allontanarsi senza dirlo, che la gente è davvero tanta.

Trascorse le tre meravigliose ore ricche di emozione e partecipazione, che tutti ormai conosciamo, arriva l’acquazzone conclusivo a sparigliare la piazza. Nino chiama a raccolta rapido, fuori ormbrelli e k-way, tutti uniti, tra i due cartelli. Ma manca una donna! Tra l’altro l’unica straniera del gruppo che non sa nemmeno l’italiano! Nino sospira pensoso e poi ci dice di partire comunque. Intanto cerca di telefonarle, ma troppa gente in piazza ha mandato in tilt le celle telefoniche e la linea non si prende.

Sotto una pioggia torrenziale, una marea umana ci travolge e ci sospinge verso l’ingresso della metro, bloccato dalla ressa. I bambini si bagnano come pulcini (tutti contentissimi, eh), i piedi si inzuppano nelle pozzanghere, le persone anziane rischiano di scivolare. Ci siete tutti? Attenzione! Mi vedete? Gli ombrelli aperti e i visi bassi impediscono di vedere il cartello della fila, Nino ci cerca con lo sguardo uno ad uno, ci chiama.

Arriviamo davanti allo sbarramento delle scale: un’ora di attesa, dicono, metro intasata. Oppure si può andare alla stazione successiva. Ma i passeggini e le carrozzine hanno già preso la via degli ascensori e ci aspettano giù e Nino ha i biglietti per tutti. Che fare?

Vacilla, è davvero stanco. Quel cartello sembra pesare una tonnellata. Gocciolando da capo a piedi, si gira verso di noi e ci chiede: che volete fare? Aspettiamo qui per riunirci con quelli sotto o gli facciamo rifare i biglietti e noi andiamo alla stazione dopo? Non sa davvero che fare, la pioggia ci massacra incessante, gli ombrelli incastrati l’uno all’altro servono a poco, i k-way già zuppi. Nel volto sconsolato di Nino si scorge lo sconforto di non poter offrire una soluzione di maggior conforto, di dover scegliere tra abbandonare un pezzo del suo popolo giù o far soffrire un altro pezzo di popolo su. Per questo si affida ad un tentativo di democratica consultazione, una specie di referendum.

La sua afflizione però ci colpisce, ci ferisce. No, noi abbiamo solo opinioni, ciascuno le sue, mentre tu vedi tutti, tu hai a cuore tutti. Nino, decidi tu, per noi va comunque bene, gli diciamo. Sorride, si appoggia al cartello che adesso sorregge lui e si prepara ad aspettare.

Come per benedire la sua scelta silenziosa, la pioggia cessa e la gente comincia a muoversi, in 15 minuti siamo già dentro la metro. Ci siamo tutti (a parte Meris, che ancora è smarrita).

Arrivati al pullman con le solite difficili modalità, ci sediamo stremati e fradici, ansiosi di partire verso un autogrill per rifocillarci un attimo. Ma dobbiamo aspettare Meris. Nino la chiama, cerca di farsi spiegare dov’è, di mandarle un taxi a prenderla. Non riesce a farsi capire, l’inglese di Meris è stentato. Alla fine telefona ai carabinieri, manda loro una foto per autarli nel riconoscimento, chiede che la mettano sul primo treno per casa e sono già le 20:30.

Nino sale sul pullman, ci conta passando lungo il corridoio, è cotto. Dai non ti preoccupare, la trovano di certo! Che vuoi mai che le capiti! E poi se l’è cercata, si è allontanata dal gruppo senza dire niente a nessuno!

Nino scuote la testa, sospira, mormora con un fil di voce: sì ma non sa l’italiano, non ha nemmeno soldi con sè. Era una mia responsabilità.

Eh che cavoli! Una responsabilità insostenibile però! Ressa, diluvio, e questa che se ne va in giro per conto suo! Anche lui è un uomo, mica superman! Ma un capo vero è così che percepisce la responsabilità: un dovere oltre il possibile, un cercare di salvare capra e cavoli di continuo, un tenere insieme i pezzi allungando le braccia a dismisura. Non scelte che tagliano via, o questo o quello, ma decisioni che includono, che proteggono, che si prendono cura. Non il bene della maggioranza, ma il bene di tutti, uno ad uno, a partire dal più debole.

Partiamo, sosta autogrill, ripartenza, risosta autogrill. Finalmente suona il telefono: Meris è stata messa sul treno dai carabinieri.

Nino si rilassa, è mezzanotte. Si abbandona sul sedile e chiude gli occhi. Nel pullman tutti dormono, tra poco siamo a casa, la stanchezza ci ha vinti. Portiamo con noi un’esperienza indimenticabile di fraternità di popolo e io anche l’insegnamento vivo e presente di come si fa a comandare per davvero. Grazie Nino.

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

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