A pelo d’acqua

Soffrire è una cosa che non si può imparare fuori dall’esperienza e non si può insegnare neppure dopo di essa. Ci si può forse “preparare” mostrando come si cerca di guardare al cielo durante il naufragio

Vorrei cominciare questo articoletto in modo inusuale, e cioè chiedendo scusa. Sì, scusa in anticipo, per ogni pensiero che esprimerò, per ogni emozione che susciterò, perché l’argomento di cui mi accingo a scrivere è duro, controverso, sporco, in una parola semplicemente indecente: si tratta del dolore.
A parlare di dolore con qualcuno si fa sempre la figura di quelli che vogliono insegnare a leggere ad un laureato in lettere e filosofia, perché è una materia di cui molti sono esperti, loro malgrado, e nella quale è facilissimo atteggiarsi a maestri, difficilissimo fare gli alunni. Quindi io dico subito che la mia è un’opinione, una delle tante, una qualunque, che non vale più di quella di nessun altro e mi affaccio in punta di piedi alla porta della cattedrale del dolore.

Se mi capita di raccontare di qualche mia esperienza, di solito sorvolo sulla parte brutta, liquidandola con poche semplici parole, che non mi sono mai state contestate e quindi ritengo che siano sufficientemente esaurienti: “tralascio di parlare del dolore, perché è solo un dolore come gli altri, uno fra tanti, ciascuno pensi al proprio e capirà.”
In effetti credo che le sofferenze, pur avendo mille possibili cause, si somiglino tutte nei loro effetti sull’animo umano e quindi soffermarsi sui particolari, insistere sui dettagli è importate solo se si sta interloquendo con una persona giovane e ancora vergine di esperienze negative che possano entrare in risonanza con le mie. Altrimenti, basta poco per capirsi, un lieve accenno, un breve riferimento e subito nello sguardo dell’altro si accende una lucina, un ricordo, una ferita. E’ un’empatia dolorosa.

Per descrivere lo stato in cui si trova chi soffre, mi piace usare l’immagine dell’uomo immerso nell’acqua completamente, con la testa sotto: per lui non fa differenza quanto sia distante l’aria, se dieci centimetri o dieci metri, resta comunque inaccessibile. Per questo fare una classifica del dolore non ha mai un gran senso, mentre è estremamente utile catalogare le cause che portano alla sofferenza; io userei solo due categorie, tanto per semplificare al massimo: cause rimovibili e cause non rimovibili.

Per quanto riguarda le cause rimovibili, il consiglio è ovviamente quello di combattere, anche se sull’aggettivo “rimovibile” si potrebbe scatenare una discussione senza fine, perché spesso ci si incaglia proprio nel discernere tra quello che possiamo cambiare e quello che dobbiamo per forza accettare. Qui non resta che rivolgere a Dio la preghiera della serenità, scritta da Tommaso Moro:

Signore,
che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare,
che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare,
e soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere.

Una volta appurato che una causa è non rimovibile, che posso fare, a parte invocare la pazienza come sopra?
Io sono poco paziente, lo ammetto. Direi che non lo sono per niente. Anzi, sono proprio ribelle, anarchica, controcorrente, allergica alle regole imposte, insofferente alle autorità. Se non capisco e non condivido, non posso accettare. Mi piacerebbe tantissimo riuscire ad accontentarmi di un “così è, non ci si può far nulla”, ma proprio non ce la faccio. Quando è toccato a me dover sopportare le avversità, mi sono lamentata parecchio, ho combattuto, ho dato il massimo, tutto quello che avevo. Ma poi ad un certo punto ti rendi conto che quello che dai non basta più, semplicemente non ce la puoi fare: allora non ho provato né rabbia, né ribellione, ho solo continuato a mettere un piede davanti all’altro, senza vedere dove portasse la strada, senza più chiedermelo, come se qualcuno mi spingesse da dietro, piano, discretamente.

E’ vero che l’uomo che soffre è immerso nell’acqua e non respira, ma, come al mare, se non sai nuotare, basta rilassarsi per risalire e “fare il morto” con le braccia spalancate: a pelo d’acqua, cullati dal movimento regolare dei flutti, sostenuti da una forza uguale e contraria al nostro peso (vedi principio di Archimede).
Così, quando tutto intorno ti stringe, quando il mondo sembra cospirare contro di te e non c’è via di uscita, paradossalmente, incredibilmente, si può sopravvivere. Anzi, forse proprio perché ci si arrende e si mollano le difese, allora si risale, perché il nostro combattere ed agitarci tante volte gioca contro di noi, non a favore.
Quando getti la spugna e dici non ce la faccio, allora spalanchi le braccia (guarda caso come una croce) e torni magicamente con la testa fuori.

Non si spiegherebbe altrimenti come tante, tantissime persone riescono a superare momenti mostruosamente difficili, situazioni inumane, estreme, strazianti. E a volte le trovi persino felici, serene.
Quando davvero smettiamo di digrignare i denti rabbiosamente e molliamo, allora una mano ci sostiene, un abbraccio ci scalda, un’onda ci coccola. E’ facile impaurirsi di nuovo, basta un attimo per irrigidirsi e finire sotto, ma se sappiamo allungare le mani a chi sta attorno a noi, possiamo anche aggrapparci e farci tirare su di peso, qualche volta.

Resta un fatto: la vita ci butta tutti a mollo prima o poi, e imparare a nuotare per tempo non sarebbe male. Per questo cerco di insegnare ai miei figli a vivere cristianamente, li porto a messa la domenica, li mando a catechismo: adesso se ne stanno tranquilli e beati sulla barchetta di mamma e papà, ma non durerà e quando sarà il momento voglio che sappiano nuotare, ma soprattutto voglio che siano consapevoli del fatto che per galleggiare a pelo d’acqua bisogna girarsi verso il cielo, aprire le braccia, smettere di agitarsi e gridare forte: “Signore, salvami!”

Pubblicato su La Croce del 24 aprile 2015

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

One Comment

  1. Cristina
    11 Maggio 2015
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    tutto profondamente vero… Il mio personale pensiero è che a volte la nostra testardaggine ci aiuta a superare gli ostacoli, a volte ci sprofonda ancora di più nella melma: questo credo avvenga quando la testardaggine positiva incontra il nostro lato strafottente… Avere una fiducia intrinseca, a volte celata o nascosta nel nostro io più profondo e che torna sorprendentemente fuori quando non ci speriamo più, aiuta e molto, anche se magari ne prendiamo atto non sul momento ma a distanza di tempo. Avere avuto insegnamenti cristiani è un aiuto, il Credere in qualcosa o Qualcuno fa accendere in noi una speranza, a volte l’ultima a cui aggrapparsi con tutte le forze e lasciarsi andare stanchi ed esausti,ed ecco che con l’affidarsi completamente, si incomincia a intravedere di nuovo una luce in fondo al tunnel, fievolissima e distantissima a volte, altre più luminosa e brillante, ma se la seguiamo con fiducia ci porterà di nuovo a galla, ci permetterà di ritrovare un po’ delle forze che credevamo del tutto esaurite e a una nuova rinascita… Purtroppo questo non si concretizza con chi “è davvero morto dentro” da chi non sa di cosa parliamo e non ha mai avuto qualcuno valido che glielo abbia proposto, per loro il lasciarsi andare molto spesso porta alla fine effettiva di tutto… A me piace molto rileggere ogni tanto ORME SULLA SABBIA e riflettere…
    Questa notte ho fatto un sogno,
    ho sognato che camminavo sulla sabbia
    accompagnato dal Signore,
    e sullo schermo della notte erano proiettati
    tutti i giorni della mia vita.

    Ho guardato indietro e ho visto che
    per ogni giorno della mia vita,
    apparivano orme sulla sabbia:
    una mia e una del Signore.

    Così sono andato avanti, finché
    tutti i miei giorni si esaurirono.
    Allora mi fermai guardando indietro,
    notando che in certi posti
    c’era solo un’orma….
    Questi posti coincidevano con i giorni
    più difficili della mia vita;
    i giorni di maggior angustia,
    maggiore paura e maggior dolore…

    Ho domandato allora:
    “Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me
    in tutti i giorni della mia vita,
    ed io ho accettato di vivere con te,
    ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti
    peggiori della mia vita?”

    Ed il Signore rispose:
    “Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato
    con te durante tutta il tuo cammino
    e che non ti avrei lasciato solo
    neppure un attimo,
    e non ti ho lasciato….
    I giorni in cui tu hai visto solo un’orma
    sulla sabbia,
    sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”.

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