Chiara Corbella e Enrico Petrillo. Pilastri

Con molta superficialità e ignoranza, il il 13 giugno scorso, ho assistito alla S.Messa dell’anniversario della nascita al cielo di Chiara Corbella Petrillo

. Fino a quando non sono andato a Roma, non sono entrato in una chiesa piena di suoi amici, non ho assistito ad una Messa più commovente del mio matrimonio (ma meno del mio funerale), io non avevo veramente idea di chi fosse questa ragazza.

Per me era una persona con una vita di tribolazioni, che si affacciava, con la sua risata coinvolgente e la sua misteriosa benda sull’occhio, dalla copertina di un libro con su scritto «siamo nati e non moriremo mai più». Tra l’altro solo adesso, documentandomi, scopro che la frase non è sua.

Poco importa, ormai conosco la storia. Mi sono fatto travolgere da un’esistenza che ad ogni passo lascia a bocca spalancata e non si fa a tempo a richiuderla che al passo successivo la mascella, come dotata di una incontrastabile volontà, ricade verso il basso.

Sono rimasto inizialmente confuso: durante l’omelia di padre Vito D’Amato ho sentito parlare di bimba anencefala, bimbo senza gambe, lettera per il primo compleanno di Francesco, eccetera. Non conoscendo la storia di Chiara ho fatto fatica a capire di cosa si stesse parlando. Sinceramente un tumore, e la sua morte qualche anno dopo il matrimonio, erano disgrazie sufficienti per quello che è la mia indole di pauroso. Ho paura del dolore, ho paura della sofferenza, ho paura di morire.

Già mi sentivo indegno in quel modo. Ma venire a sapere che lei, con suo marito Enrico, aveva avuto due figli, nati al cielo subito dopo il parto; che avevano scelto di fidarsi della Vita per tutte quelle volte, fino ad arrivare ad avere Francesco. E scoprire, durante la gravidanza, di essere destinati probabilmente a non vivere su questa terra con quel figlio, mi ha ribaltato tutto.

La prospettiva di disgrazia, il filtro della sofferenza con cui avevo sbirciato all’esistenza di Chiara era decisamente inadeguato. Chiunque guardi a certe vicende in quel modo non può che morire dentro. Abbandonarsi al dolore sterile e fine a se stesso. A quel dolore che porta alla visione distorta dell’inutilità dell’esistenza.
No! Dovevo traguardare questa vicenda ponendola di fronte ad uno sfondo diverso. Metterla nella prospettiva di un progetto più grande, un progetto Divino che le avrebbe dato il risalto ed il senso giusto. Quello che Chiara ed Enrico avevano capito fin da subito.

Loro si sono lasciati attraversare dal progetto di Dio e lo hanno reso reale usando la chiave della Fede per aprire la porta della loro casa alla Vita. Loro hanno dato struttura e forza alla famiglia, all’interno della quale, con Cristo a protezione e baluardo dell’amore sponsale, si vince anche quando sembra perdere tutto. Si sono sostenuti vicendevolmente, si sono cuciti addosso i ruoli a cui tutti siamo chiamati: lei si è sottomessa per donare un figlio a lui, e lui è morto per lei il giorno che è nata al cielo in virtù proprio del figlio che gli ha donato. La comunità si è stretta intorno a loro ed ha sentito di partecipare alle loro prove. E vedendoli reagire nel modo più luminoso che mi è concesso di comprendere, si è illuminata a sua volta, innescando quel gioco misterioso che è la moltiplicazione dei doni che solo in Dio può avere luogo. La compassione degli amici è diventata strumento di salvezza per molti.

Permettetemi adesso una breve digressione: negli ultimi tempi, mi ero interrogato su quali potessero essere le soluzioni realmente applicabili alla deriva che hanno preso le società contemporanee, dall’oriente all’occidente. Lamentarmi e basta iniziava a rimanermi stretto e durante una chiacchierata venne fuori che per ben governare un ambiente, non si può prescindere dai quattro pilastri che sorreggono la legge naturale:

Se tenute in conto in questo ordine, senza che nessuna prevarichi l’altra, senza che nessuna sia ignorata, la società in questione potrebbe dare origine ad un ambiente ecologico integrale, dove anche l’ecologia umana diverrebbe sostenibile, eliminando di fatto la cultura dello scarto, soprattutto riguardo all’uomo.

Oggi ho trovato un’inequivocabile simmetria tra la vita della famiglia Petrillo e il paradigma della società perfetta. In questa famiglia infatti si è dato dignità infinita alla vita umana e questo è stato testimoniato ogni volta che, nonostante il mondo non desse loro speranze, loro hanno dato speranza alla vita nascente.
Il bene comune, inteso come bene della famiglia, è stato perseguito da Chiara ed Enrico nella scelta di sposarsi e di amarsi rendendosi disponibili ad accogliere il volere di Dio. Il che significa mettersi nelle mani di chi ha una visione più ampia della nostra. Mettersi nelle mani di Colui del quale non comprendiamo tutto, per il quale soffriamo e per il quale siamo disposti a rinunciare a qualcosa.
Hanno vissuto la sussidiarietà all’interno della coppia, sostenendosi a vicenda, condividendo e sopportando insieme tutto. Sottolineando che dentro la famiglia si vince sempre.
Hanno sperimentato la solidarietà degli amici, dei parenti, degli sconosciuti come me, vedendo Dio rendere il centuplo su questa terra, come è evidente dalla folla alla messa e al pellegrinaggio alla di Chiara.

Siccome «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.» significa che alla base della società ci sta la famiglia e più precisamente, alla base di una società veramente giusta e attenta ai più deboli, ci sta la famiglia naturale fondata sul matrimonio.

Probabilmente il politico vero, il politico che guarda lontano e vuole davvero il bene della società, dovrebbe sfilare al Verano, scommettendo su questa famiglia, su una famiglia densa di significati, che trasuda valori che se appaiono vecchi e superati è perché sono gli unici ad aver vinto la sfida con le prove e con il tempo.
Tutte le altre forme sono effimere e superficiali, in esse l’amore è possesso invece che dono, il diritto è SU qualcuno invece che PER qualcuno e la famiglia è un contratto a termine.

 

Pensiero Profondo Written by:

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